Libertà di pensiero e responsabilità sui social

Chi comunica ha una responsabilità perché ciò che dice esprime un suo pensiero a una o più persone vis à vis.

Chi comunica sui social ha una doppia responsabilità: esprime un suo pensiero attraverso un mezzo che amplifica e fa arrivare il suo pensiero anche a persone che potenzialmente non si conoscono.

Chi comunica sui social e gestisce account aziendali ha una tripla responsabilità: sul suo account esprime un suo pensiero attraverso uno strumento che lo amplifica, lo fa arrivare anche a persone che non si conoscono, ma soprattutto comunica a nome di un’azienda rappresentandola.

La semplicità d’uso a volte non fa ragionare sull’importanza del tema. Entrare sui social è semplice, gestirli molto meno (lo ripeto spesso) e i fatti che ciclicamente sentiamo lo testimoniano. Ultimo tra i tanti la storia tra Selvaggia Lucarelli e il Social Media Manager di Scuola di Zoo che l’ha insultata pesantemente: inizialmente ha negato spalleggiato dall’azienda che poi, accortasi di ciò che lo stesso e altri collaboratori pubblicavano sulle proprie bacheche personali, l’ha licenziato. Qui l’ultimo post di Selvaggia sul caso.

Attenzione: non sto parlando solo di persone inesperte, ma nel caso specifico di coloro che sono (o a questo punto nutro qualche dubbio?) anche per professionisti del web.

Quando comunichi sui social sei responsabile

Libertà di parola è libertà di insulto “perché la penso così”. Io credo che la scarsa educazione all’uso dei social network nei ragazzi (e spesso anche negli adulti) ha sviluppato un pensiero distorto: se da una parte i social network hanno permesso l’amplificazione della grande rivoluzione del “self publishing pensiero”, dall’altra si è confusa questa grande libertà democratica con il concetto “dico quello che voglio, quando voglio, perché questa è casa mia”. Non è così, inutile dirlo, o forse no se io stessa ho sentito l’esigenza di scrivere un post?

  • Non è casa tua, ma un ambiente in cui abitano altre persone.
  • Non è casa tua perché la scarsa conoscenza ti fa pubblicare in modo pubblico (e quindi visibile a chiunque) i tuoi post.
  • Non è casa tua ma un ambiente in cui tu puoi sviluppare la tua carriera e ogni singola azione serve a creare la tua identità digitale (qui siamo ai concetti base di personal branding).

Sui social network ha luogo la democratizzazione delle informazioni, dei pensieri e questo è il bello di questo modo di comunicare. Non devo aspettare un giornale o una terza persona per dire a un pubblico vasto ciò che penso di una situazione, di un fatto.

Il problema quindi dov’è? Il problema nasce quando questa libertà non segue regole di buon comportamento e educazione. Quelle regole che non sono scritte, ma sottintese così nella vita come nella rete: salutare, dare il benvenuto, ascoltare prima di aggredire… perché se nella vita reale facciamo questo, non può avvenire questo sui social? Chiedi l’amicizia a qualcuno su Facebook che non conosci? Perché non ti presenti? Perché quando ti accetta non lo ringrazi? (Trovi molti contenuti sul tema anche qui sul blog di Artera, io te ne avevo già parlato quiqui e qui).

Hai fatto della tua attività sui social network il tuo lavoro? Benissimo! Com’è possibile non avere quella sensibilità che ti porta ad avere una responsabilità comunicativa? Su Linkedin dichiari di lavorare per l’azienda X, sul tuo profilo personale condividi (in modo pubblico) insulti, parolacce e – nascondendoti dietro alla frase “è il mio punto di vista, è libertà di pensiero” credi che questo atteggiamento non provochi un danno all’azienda per cui lavori, che ti ha scelto e per la quale tu gestisci i profili?

In questi giorni sto facendo un corso a 30 docenti scolastici, tra questi c’è chi è pro e chi è tranquillamente contro i social network. Le motivazioni? Molte, generiche e a mio avviso banali: non mi piacciono, non è comunicazione, sono inutili, eccetera. Poi chiedi “Ma scusi, lei come gestisce il suo profilo?” e ti rispondono “Ma io non ho un profilo! È tutto talmente irritante che non l’ho mai aperto”. “Ah, ok… e quindi come la mettiamo con i ragazzi che ormai vivono sui social, con la nostra responsabilità come adulti nel cercare di andare incontro a loro, nell’essere presenti anche in questi ambienti per educare anche col nostro comportamento e modo di comunicare online?”.

Sui social o nella vita io non credo che l’atteggiamento giusto sia “loro si comportano così, quindi quella situazione è totalmente negativa“: un ladro in un paese non fa di tutti gli abitanti di quel paese dei ladri… e non credo sia esagerato il paragone perché l’approccio è più o meno questo.

Io credo che invece per ogni “ladro” esistano altrettante persone che si stanno dando da fare e che sui social network stanno costruendo molto sia nei rapporti personali che professionali e credo che quando ti sentirai dire “Ah, ma i social network sono un grande contenitore di immondizia io non ci metto piede” tu potrai rispondere “È come dire che tutto il mondo fa schifo, ma nel mondo ci sei anche tu…” oppure rispondere in modo più elegante con quella bellissima frase di Gandhi che recita “Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”.

Buone riflessioni 😉 fuori e dentro i social.

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